«Papa Karol la montagna era casa sua»

Zani: «Un ottimo sciatore scendeva dappertutto»

«Scii come una rondine». Dal gatto delle nevi Sandro Pertini non si era perso una discesa dell’ amico Karol. Giovanni Paolo II scendeva tranquillo, sul ghiacciaio dell’ Adamello. Per Lino Zani, quel giorno maestro di sci, poi amico e compagno di passeggiate in montagna, il Papa era «uno sciatore vero. Non aveva certo bisogno di un maestro, io lo accompagnavo soltanto per il timore che finisse in un crepaccio, ce n’ erano in quei sei sette chilometri di discesa. Sciava con un buon parallelo, scendeva dappertutto, Per un giorno uomo normale, era vestito di blu, con un cappellino e gli scarponi rossi». Lino Zani adesso ha 49 anni, dopo quel giorno è stato tre volte sull’ Everest, era nel gruppo che accompagnò Mike Bongiorno al Polo Nord. La famiglia non gestisce più il rifugio Lobbia Alta sull’ Adamello, ma la montagna è sempre la sua vita. Ora è direttore generale della Fondazione italiana delle montagne e consigliere per la montagna del ministro agli Affari regionali, Enrico La Loggia, e metà della settimana vive a Roma. LA VISITA «Come ricordo quel giorno? Il momento più bello della mia vita. Con noi che non sapevamo cosa dire e il Papa che ci chiedeva di chiamarlo Karol. Noi riuscivamo solo a dire Sua Santità. E’ stato con noi due giorni, al terzo la folla cominciava a salire all’ Adamello, dopo aver saputo che era lì, e se ne andò. Mangiava in cucina con noi, in mezzo alle pentole. Guardavamo il telegiornale insieme, parlavamo di tutto, secondo me gli piaceva il fatto di avere una famiglia, lui che è rimasto presto senza genitori. Con noi si sentiva a casa». Lino Zani parla di quei due giorni di luglio 1984 come sefossero appena passati, la voce è di chi sta rivivendo un’ emozione. «Eravamo agitati e preoccupati. Il Rifugio a tremila metri non poteva garantire gli standard di un grande albergo. Avrebbe dovuto dormire in una stanzetta, senza bagno. Gliene abbiamo preparata una con un tavolino». IL SEGRETO Quei quattro preti polacchi che erano arrivati al rifugio a giugno di quell’ anno avevano chiesto: «Perché non ci portate a sciare?». Al Lobbia Alta la famiglia Zani aveva aperto una scuola di sci. Niente impianti di risalita, per tornare in alto si usava il gatto delle nevi. «Gli abbiamo prestato l’attrezzatura, sci e scarponi, e li abbiamo portati a sciare. L’ ultimo giorno scoprimmo che uno era Stanislaw Dziwisz, il segretario personale del Papa, ora cardinale e arcivescovo di Cracovia. Parlò con la mamma e le disse che voleva organizzare una vacanza da noi per Giovanni Paolo II. All’ inizio non lo prese sul serio, poi capì che era vero. L’ unica condizione era che doveva essere organizzato tutto in segreto». Nemmeno papà Martino fu avvisato, solo Miriam, la sorella minore, che stava a casa a Temù e doveva mantenere i contatti con il Vaticano. E in assenza dei telefonini, tutte le comunicazioni erano via radio, in codice. «E quando Pertini scoprì che l’ aereo presidenziale avrebbe portato il Papa in montagna, decise di accompagnarlo». IL PAPA E LA MONTAGNA Su quella montagna il Papa non si dimenticò di essere Papa. «Mentre saliva con mio papà Martino, lo confessò sul gatto delle nevi. Poi, mentre sciava con me, si fermò e rimase da solo in meditazione, per un’ ora. Eravamo a Cima Lares, da lì si gode un paesaggio incredibile su tutta la valle, i panorami gli sono sempre piaciuti». Su quella montagna che ora ha preso il nome di Cima Giovanni Paolo II, il Papa che voleva essere chiamato Karol parlava di storia con Lino. «Era incuriosito dal fatto che l’ Adamello fosse stato teatro di guerra, voleva sapere quello che era successo, sentire di quegli uomini morti di stenti più che di combattimenti». L’ AMICIZIA In quei giorni nacque un rapporto speciale, Lino Zani entrò a far parte dello staff che accompagnava il papa in montagna, nelle passeggiate in Cadore, in Val d’ Aosta. «Nell’ 88 tornò da noi, perché gli alpini gli avevano dedicato un altare. Come sempre, in montagna rinasceva, ci diceva che qualche volta a Roma si sentiva in prigione. L’ ho visto sciare fino al ‘ 90, poi negli ultimi anni si era dovuto accontentare delle passeggiate. Era un camminatore vero, un uomo di montagna che partiva alla mattina tornava alla sera e che nei rifugi cantava con la gente. Si sentiva a casa».

Poli Marisa
4 aprile 2006, Gazzetta.it

http://archiviostorico.gazzetta.it/2006/aprile/04/Papa_Karol_montagna_era_casa_ga_10_06040411491.shtml

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