In viaggio sugli sci per conquistare il Polo

IL GRUPPO, COMPOSTO DA TRENTA PERSONE, VIAGGERÀ PER SEI GIORNI SUI GHIACCI ALLA DERIVA. AMEDEO D’ AOSTA DEVE RINUNCIARE PER UN INFORTUNIO

Parte in Siberia la spedizione con Mike Bongiorno per ricordare il duca degli Abruzzi. C’ è anche monsignor Andreatta che porta una croce donata da Giovanni Paolo II, La temperatura è di 25 gradi sotto zero. Per gli abitanti della zona è quasi primavera.

DAL NOSTRO INVIATO KHATANGA (Siberia del Nord) – Questo paese di tremila anime collegato col mondo solo per via aerea è l’ avamposto dal quale partono ormai da molti anni quasi tutte le spedizioni intenzionate a dare l’ assalto al Polo Nord. Siamo ben oltre il circolo polare, su un grande fiume ghiacciato circondato dalle ultime foreste. I 25 sottozero di questi giorni sono «quasi primavera» per gli abitanti: escono da un inverno che ha visto la colonnina di mercurio testardamente ferma oltre i meno 45. I bambini giocano all’ aperto sulla via che ancora si chiama Sovyetskaja e slittano giù per i pendii bianchi del porto tra le navi chiuse nella morsa del ghiaccio. I tratti asiatici di molti di loro rivelano che Khatanga è abitata in buona parte dai Dalgan, una popolazione asiatica originale assai simile agli Inuit. Gli altri sono russi, immigrati ai tempi in cui l’ Urss prometteva stipendi doppi a chi accettava di vivere nel grande freddo, sulla strada aperta dai cosacchi all’ inizio del Seicento. Anche questa spedizione commemorativa inizia il grande balzo da Khatanga, sotto gli occhi curiosi degli abitanti. È un gruppo assai eterogeneo quello che si allena a montare le tende, curare i cani, accendere i fornelletti e calzare gli sci sul fiume gelato. Per ricordare i 101 anni del tentativo di raggiungere il Polo da parte del duca degli Abruzzi, Luigi Amedeo, cugino del re Vittorio Emanuele III, ci sono due discendenti dell’ esploratore, Amedeo d’ Aosta e il figlio Aimone. Poi, accanto ad alcuni dei più forti scalatori del mondo, come Hans Kamerlander, ecco Mike Bongiorno, spinto all’ impresa da un’ incurabile passionaccia per la neve e coinvolto dagli organizzatori che erano alla ricerca di un «catalizzatore» di sponsor. E da catalizzatore ha fatto il buon Mike, come testimoniano Lino Zani (che portò il Papa a sciare sull’ Adamello) e Marco Adriani, che hanno curato la parte organizzativa. Da un’ idea, si è passati a una megaspedizione che porterà trenta persone (compreso Mike, escluso Amedeo d’ Aosta per un infortunio) a raggiungere il Polo sugli sci. Ci sarà monsignor Andreatta che porta una croce donata da Giovanni Paolo II per compiere quell’ atto simbolico (piantare la croce nel punto estremo del globo) che non riuscì a Umberto Nobile nel 1928 con la croce datagli da Pio XI. Partenza da Khatanga alla volta di Srednij, una delle isole più a settentrione del mondo. Poi, ancora in aereo, al campo Borneo, sulla banchisa non lontano dal novantesimo parallelo. Quindi a piedi per sei giorni verso il Polo che per la deriva dei ghiacci si sposta in continuazione. Il cammino che si seguirà non è molto distante da quello tracciato da Luigi Amedeo, duca degli Abruzzi, forse il più popolare dei Savoia Aosta, poco più di cento anni fa. Marinaio, animo inquieto, il duca degli Abruzzi dedicò buona parte della sua vita alle grandi imprese alpinistiche, alle imprese estreme, diremmo oggi, alla conquista e all’ esplorazione, come si diceva allora. Prima il Sant’ Elia, grande cono di ghiaccio dell’ Alaska che tra il 1886 e il 1890 aveva già respinto tre spedizioni angloamericane. Il 31 luglio del 1897 il duca e gli uomini della sua spedizione conquistarono la cima di 5.489 metri, la prima grande impresa alpinistica portata a termine da italiani. Più tardi ci fu l’ esplorazione e la conquista del Ruwenzori, la più alta cima africana (5.125 metri) e il tentativo al K2 fallito ma chiuso con la scalata al Bride Peak a quota 7.498 metri, altezza mai toccata prima di allora (1909). Ma la grande ossessione di quegli anni per tutti e anche per il duca degli Abruzzi era il Polo Nord, la conquista del punto più estremo del pianeta, i 90 gradi di latitudine. Ci si provava per via aerea, sui palloni aerostatici, ci si avventurava a piedi sul pack. Più tardi, sarebbe stata la volta dei dirigibili, con le imprese di Amundsen e Nobile (nel ‘ 26 sorvolarono il Polo assieme all’ americano Ellsworth). Al giro del secolo l’ impresa sembrava pazzesca. C’ erano stati dei tentativi. Il norvegese Fridtjof Nansen nel 1895 era arrivato a 416 chilometri dal Polo, latitudine 86 e 14. Ma era riuscito a sopravvivere tra vicissitudini tremende per più di un anno sulla banchisa, cibandosi di carne d’ orso e, soprattutto, di quella dei suoi cani. Il duca degli Abruzzi fece tesoro di questa esperienza e organizzò una spedizione con metodi che più tardi servirono a conquistare l’ Himalaya. Grandi quantità di mezzi e di uomini, un avvicinamento lento e costante con successivi campi base che servono da supporto a un piccolo nucleo di uomini che, alla fine, tenteranno l’ assalto decisivo all’ obiettivo. Nel caso del Polo i campi fissi sono impossibili perché la banchisa si muove. Quindi il duca ricorse a due pattuglie di rifornimento che avrebbero permesso a una terza di partire da un punto più avanzato senza aver ancora messo mano ai propri viveri. La spedizione che doveva arrivare a piantare il tricolore al polo partì il 12 giugno 1899 da Oslo a bordo della baleniera Jason ribattezzata Stella Polare. Quasi un anno dopo, l’ 11 marzo del 1900 partirono i gruppi che a piedi e con i cani dovevano tentare l’ assalto al Polo. In quei 9 mesi era successo di tutto. Durante una esercitazione, al duca degli Abruzzi si erano congelate tre dita che il medico dovette amputare. Così il gruppo che diede l’ assalto finale fu guidato da Umberto Cagni e non da Luigi di Savoia che fu costretto a rinunciare. Dopo un tentativo andato a vuoto, l’ 11 ci fu la partenza vera: dieci uomini, 13 slitte e 103 cani. Tra venti furiosi, temperature di oltre meno cinquanta, principi di congelamento, gli uomini proseguirono fino al 25 aprile, quando raggiunsero il punto più a nord mai toccato: 86 gradi e 33 primi di latitudine, 381 chilometri dal Polo. Un’ impresa che era costata la vita a tre membri della spedizione rimandati indietro dopo aver esaurito il primo carico di viveri. I loro corpi non sono mai stati ritrovati. Un tentativo che, pur se non riuscito nell’ obiettivo iniziale, è però rimasto nella storia.

Dragosei Fabrizio

Pagina 19
(8 aprile 2001) – Corriere della Sera

http://archiviostorico.corriere.it/2001/aprile/08/viaggio_sugli_sci_verso_Polo_co_0_0104082654.shtml

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